USB, capitolo 4

Lo standard USB ha una storia movimentata alle spalle. USB 4 promette di fare chiarezza nel caos delle specifiche tecniche e, soprattutto, di semplificare in maniera decisiva l’utilizzo dei cavi e dei dispositivi corrispondenti.

A partire dalla sua introduzione nel lontano 1996 con la versione 1.0, l’Universal Serial Bus (in breve USB) è diventato di fatto un’interfaccia IT universale, onnipresente e irrinunciabile per tutte le periferiche informatiche. Molte delle innumerevoli interfacce per periferiche precedenti sono da tempo superate (ADB, PS/2, SCSI, LVD, IEEE 1284 ecc.). Altre, come la RS-232, sopravvivono ancora come prodotto di nicchia nel settore industriale. In questi ultimi 23 anni di storia, molti sono stati gli ostacoli e le difficoltà per l’interfaccia USB; ciononostante, i potenziali concorrenti come Firewire 400 e 800, che avrebbero dovuto risolvere alcune criticità dell’USB, sono stati spazzati via dal mercato grazie all’onnipresenza imperante dell’USB. Altre interfacce come Thunderbolt, presentata nel 2011 da Intel in collaborazione con Apple e sviluppata fino alla versione 3, verranno ora semplicemente inglobate da USB 4. Ma cominciamo dal principio.

La storia di successo dell’USB

L’idea alla base dello sviluppo e del rilascio dell’USB 1.0 fu quella di creare una soluzione che permettesse di connettere ai computer tutte le periferiche informatiche immaginabili attraverso un’unica porta standardizzata. Ciò che oggi appare ovvio era allora un’idea futuristica, perché all’epoca le periferiche venivano collegate a PC e portatili attraverso un gran numero di interfacce diverse, a seconda dell’applicazione tecnica e dei requisiti delle caratteristiche di trasmissione. L’USB le avrebbe sostituite tutte. Si rivelarono decisivi per il successo di questo processo di sostituzione alcuni nuovi concetti, come il plug & play, implementato grazie a classi di dispositivi definite di conseguenza implicitamente nelle specifiche, e il concetto di hot plug, che consentiva una gestione semplice e una velocità di trasferimento dati fino a 12 MBit/s, davvero elevata per l’epoca.

Il connettore USB è cambiato più volte nel corso dei decenni.

Proseguendo nell’evoluzione dell’USB, troviamo la versione 1.1, che eliminò solo errori di specifica minori; poi l’USB 2.0, che riuscì ad aumentare di 40 volte la velocità di trasferimento, portandola a 480 MBit/s nel 2000; nel 2008 fu la volta dell’USB 3.0 con una velocità di trasferimento dati teorica fino a 5 GBit e l’introduzione di nuovi connettori ampliati; nel 2013 arrivò sul mercato l’USB 3.1 con una velocità pari a 10 GBit/s; solo alla fine del 2017 venne rilasciata l’USB 3.2, in grado di elevare ulteriormente la velocità di trasferimento dati a 20 GBit/s. Tutto ciò ha permesso di tenere ad oggi i potenziali concorrenti dell’USB fuori dal mercato o quantomeno sotto scacco. Solo le applicazioni in real-time, per cui è determinante il tempo di risposta, sono rimaste dominio di nicchia per altri sistemi.

Fulmini e saette

Ecco che nel 2011 arriva sulla scena un nuovo sistema: nato dalla collaborazione fra Intel e Apple e basato sullo standard DisplayPort (DP) sia da un punto di vista meccanico che elettrico, nasce Thunderbolt (che in inglese significa appunto fulmine). Per Thunderbolt lo standard DisplayPort, che altro non è che una pura interfaccia AV, è stato esteso di un canale dati bidirezionale basato su PCI Express. Quest’ultimo utilizza l’elettronica attiva nei suoi connettori, nascondendo così il layer fisico (ossia il mezzo di trasferimento) dall’host e dai dispositivi. Ciò dovrebbe, in un secondo momento, semplificare l’eventuale passaggio dai cavi in rame ai cavi ottici. Entrambe le prime versioni di Thunderbolt utilizzavano quindi un connettore DP, ossia il connettore Mini DP introdotto da Apple. Thunderbolt 3 ha invece poi adottato il connettore USB Tipo-C, indipendente dal verso di introduzione e ulteriormente miniaturizzato, rilasciato in contemporanea all’USB 3.1.

L’incredibile aumento della velocità di trasmissione nel corso delle generazioni.

Inizialmente, con una velocità quasi doppia rispetto all’USB 3.0, Thunderbolt rappresentava un concorrente da prendere sul serio perché, almeno da un punto di vista tecnico, aveva tutte le carte per far retrocedere l’USB. Tuttavia, grazie alla penetrazione sul mercato dell’USB e a costi di produzione sensibilmente più ridotti per l’hardware correlato, il sorpasso non c’è mai stato e anche la retrocompatibilità con USB 3.1, introdotta a partire da TB 3, non ha cambiato di molto il panorama.

Due diventano una

E così all’inizio del 2019, Intel e l’USB Implementers Forum (USB-IF) hanno annunciato il trasferimento delle specifiche del protocollo da Thunderbolt a USB-IF. La fusione si è poi verificata fra la metà e la fine del terzo trimestre 2019, con il rilascio dello standard USB 4 (Enhanced SuperSpeed), che ingloba in USB il meglio dei due mondi. Thunderbolt ha contribuito alla nuova specifica con una velocità massima di trasmissione pari a 40 GBit/s: il doppio dello standard USB 3.2 rilasciato alla fine del 2017. Dal canto suo invece, l’USB ha contribuito alla realizzazione della struttura ad albero dell’intero sistema, resa possibile grazie all’utilizzo degli hub, dato che in precedenza i dispositivi con Thunderbolt potevano essere collegati solo in serie. In questo contesto gli hub non erano previsti.

Durante lo sviluppo di USB 4, particolare attenzione è stata posta sugli hub, che sono diventati molto più complessi, in quanto devono poter gestire il protocollo PCIe bidirezionale, ereditato da TB 3 per il trasferimento veloce dei dati verso i dispositivi di archiviazione di massa esterni, oltre ai già citati segnali Enhanced SuperSpeed. Inoltre gli hub devono saper gestire i segnali DisplayPort per la modalità alternativa DP, presente fin dall’inizio con Thunderbolt e dalla versione USB 3.1, per la trasmissione AV e per la retrocompatibilità anche con il protocollo USB 2.0.

Il tutto e la somma delle sue parti

Si tratta di una quantità importante di protocolli diversi. Affinché gli adattatori host e gli hub USB 4 possano gestire tutti i protocolli, sono dotati di moduli interni, fra cui un host USB Enhanced SuperSpeed, degli host o hub USB 2.0, un controller o switch PCIe e un adattatore DisplayPort. L’interazione tra questi moduli negli host, hub e dispositivi è controllata e coordinata da un componente interno aggiuntivo, ossia dal router.

Con l’avvento dello standard USB 4, il connettore di tipo C diventerà lo standard.

A partire dalle versioni USB 3.1 e TB 3 è ancora in uso il connettore Tipo-C. È stato introdotto sulla scia di USB 3.1, ma in modo indipendente, e consente la modalità alternativa DisplayPort via USB, cosa che Thunderbolt riusciva a fare benissimo già agli albori: passare da un mero output dei dati USB o Thunderbolt ai segnali DisplayPort. Le coppie di fili previste per la trasmissione dei dati vengono poi utilizzate, in toto o parzialmente, per trasmettere i dati AV. In questo modo, possono essere collegate non solo le periferiche, ma anche i monitor e i videoproiettori.

Si rivela quindi comprensibilmente complessa anche la struttura del processo di negoziazione quando un dispositivo viene collegato ad un hub che, infine, decide per l’intero bus chi potrà/dovrà ricevere quali dati e a quale velocità.

A proposito di velocità: la velocità teorica dell’USB 4 è pari alla velocità di 40 GBit/s definita per TB3, sebbene in base alla specifica il vincolo sia in effetti minore, ossia i 20 GBit/s teorici vincolanti dichiarati per l’USB 3.2. Ne consegue immediatamente che l’USB 4 non deve necessariamente essere del tutto retrocompatibile con i dispositivi con Thunderbolt 3, i quali funzionano con qualsiasi host USB 4, riducendo però la propria velocità ai 20 GBit/s di cui sopra. Quando si acquista un componente hardware, sarà allora necessario controllare bene le effettive prestazioni. Che un host USB 4 sia in grado di raggiungere i 40 GBit/s sarà probabilmente una mera questione di costi, quantomeno per gli adattatori host di prima o seconda generazione disponibili sul mercato.

Una nuova babilonia

Comprendere lo schema di denominazione utilizzato a partire dall’USB 3.1 richiede tuttavia un occhio allenato. Se prima di questa versione, era facile comprendere la velocità direttamente dal numero di versione dell’USB (USB 2.0 con velocità di 480 MBit/s, USB 3.0 con velocità di 5 GBit/s), a partire dalla versione 3.1 bisogna fare più attenzione. Si rammenta che, dall’introduzione dell’USB 3.1, è vero quanto segue: l’USB 3.0 con velocità di 5 GBit/s veniva denominata USB 3.1 Gen 1 (dove Gen sta per generazione) e l’USB 3.1 con velocità di 10 GBit/s veniva logicamente denominata USB 3.1 Gen 2.

I simboli degli standard USB e Thunderbolt: un’incognita ancora aperta

Con l’arrivo dell’USB 3.2, l’USB 3.0, nota come USB 3.1 Gen 1 con velocità di 5 GBit/s, è diventata USB 3.2 Gen 1. Utilizza una coppia di fili della Gen 1 con 5 GBit/s. L’USB 3.1, nota come USB 3.1 Gen 2 con velocità di 10 GBit/s, ora si chiama USB 3.2 Gen 2 e utilizza una coppia di fili della Gen 2 con 10 GBit/s, mentre la USB 3.2 con velocità di 20 GBit/s viene ora denominata USB 3.2 Gen 2×2, dato che utilizza due coppie di fili della Gen 2 con ciascuno 10 GBit/s.

Lo schema diventa quindi riconoscibile: ogni nuova versione USB comprende le versioni precedenti e distingue le velocità di trasmissione dei dati con il suffisso della generazione corrispondente. Non è però ancora del tutto chiaro se questo schema sarà adottato anche con l’USB 4 e se la denominazione delle versioni precedenti 3.x sarà adeguata a sua volta. Per certo sappiamo che: l’USB 4 con velocità di 40 GBit/s verrà chiamata USB 4 Gen 3×2, poiché utilizza due coppie di fili della (nuova) Gen 3 con ciascuno 20 GBit/s e l’USB 4 con velocità di 20 GBit/s sarà chiamata USB 4 Gen 2×2, dato che utilizza due coppie di fili della Gen 2 con ciascuno 10 GBit/s.

Una piena presa di potere: Power Delivery

Nell’USB 4 è stata adottata in toto l’ultima versione dello standard Power Delivery, che negozia e regola l’alimentazione tra host, hub e dispositivi sia nella versione USB 3.1 Gen 2 e successive che in Thunderbolt 3 (cioè in tutte le versioni che utilizzano il connettore Tipo-C). I profili sono negoziati in base a tensione e intensità di corrente (5V/2A, 12V/1,5A, 12V/3A, 20V3A o 20V/5A) e direzione di alimentazione. Tutti i cavi in grado di sopportare oltre 1,5A previsti per il carico di corrente più basso, devono comunicarlo tramite un cosiddetto chipset E-Mark, in modo da poter ottenere il profilo corretto.

Questo rende possibile, ad esempio, collegare un alimentatore con connettore USB Tipo-C alla porta USB compatibile con Power Delivery di un hub o di una docking station e collegare questi a un notebook tramite un unico cavo USB Tipo-C con Power Delivery da 5A, per caricare il notebook e trasferire contemporaneamente i dati. Con la giusta dotazione, la gestione delle periferiche diventa quindi più semplice e il groviglio di cavi sulla scrivania molto meno invadente.

E gli utenti cosa ci guadagnano?

In fin dei conti, l’USB 4 e la fusione fra USB e Thunderbolt non sono altro che la realizzazione pratica delle richieste di mercato per quanto riguarda larghezze di banda superiori e standard univoci e universali. L’acquisizione del know-how per la trasmissione a 40 GBit/s e l’aver riunito i due standard nella USB rappresenta un decisivo passo in avanti in questa direzione.

Quando l’USB 4 si sarà radicata nel mercato e posto che tutti i componenti USB dell’utente supportino la piena funzionalità dell’USB 4 con velocità di 40 GBit/s e tutti i profili Power Delivery, la vita (con l’USB) sarà molto più semplice. Prima infatti era necessario controllare il logo applicato sulla porta USB per verificare se questa era compatibile con Thunderbolt o USB e con il dispositivo da collegare, dato che, per fare un esempio, un dispositivo TB collegato ad una porta USB non funzionava; mentre la cosa peggiore che potrebbe capitare con l’USB 4 è un collegamento con velocità di trasmissione dati ridotta. Nel medio e lungo periodo esisterà un unico connettore per tutte le periferiche: il Tipo-C. Dopo un “periodo di grazia” con l’ausilio di un adattatore, i dispositivi provvisti di altri connettori finiranno prima o poi per scomparire.

Fino a quel momento tuttavia, chi desidera acquistare componenti hardware dovrà stare molto attento e verificare con cura le specifiche dei produttori relative a velocità (controllare il suffisso della generazione nella versione USB) e compatibilità con la Power Delivery dei singoli componenti.

L’autore

Axel Kerber lavora nel settore IT e AV da 25 anni. Nel corso della sua carriera alla Lindy di Mannheim come risorsa del supporto tecnico, product manager, responsabile del supporto tecnico e da tempo come redattore tecnico, è stato ed è costantemente in contatto con le ultime tendenze tecnologiche del settore. I più recenti sviluppi tecnologici in un mercato in continua evoluzione come quello della connettività lo affascinano e lo spingono ad approfondire sempre più questo interessante mondo.